Perché il rosso è il colore del fuoco?

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Le fiamme sono arancioni e gialle, sono blu e azzurre, talvolta persino bianche. Ma raramente sono rosse. Eppure — lo impariamo fin da bambini — il rosso è il colore del fuoco. E da questo concetto, dato ormai per scontato, derivano tutte le simbologie che conosciamo ancora oggi. Rosso è il colore dei Vigili del Fuoco e dei loro mezzi. È il colore degli estintori, degli idranti, degli allarmi antincendio. Ed è ovviamente anche il colore di Firewall e delle sue vernici ignifughe: il nostro colore.

I dizionari ci dicono che il rosso è il colore del fuoco

Primo piano sulle fiammelle azzurre di un fornello acceso

Nei dizionari, quando si cerca una voce relativa a un colore, ci si accorge di un fatto curioso. Le definizioni, solitamente molto precise, vanno un po’ — diciamo così — in difficoltà. Lo evidenzia anche uno dei più grandi esperti mondiali di colori, il francese Michel Pastoureau, nel suo libro Un colore tira l’altro. Diario cromatico.

Pastoureau sottolinea come la corretta descrizione di una tinta dovrebbe essere più o meno così: «È il colore che nello spettro si trova tra questa e quell’altra lunghezza d’onda». Ma sa anche bene che, se una definizione del genere andrebbe bene per i fisici, disorienterebbe la maggior parte delle altre persone. E quindi cosa fanno i dizionari? Spesso usano delle similitudini, indicano oggetti ed elementi naturali di quel colore. Prendiamo il rosso: nel dizionario Hoepli la prima cosa che si trova alla voce dedicata all’aggettivo rosso è: «Di colore che nello spettro sta tra il violetto e l’arancio, ed è quello caratteristico del sangue, del fuoco, del papavero».

Pensiamoci bene: del sangue, del fuoco, del papavero. Sangue e papaveri sono indubbiamente rossi. Ma il fuoco lo è davvero? In natura, come già accennato, esistono fiamme rosse ma quelle che vediamo sono entità policrome che si presentano principalmente in tonalità tra il giallo e l’arancione o tra il blu e il viola.

Il primato del rosso come colore

Antichissima pittura rupestre che rappresenta una serie di mani

Nella variopinta tavolozza cromatica adoperata da tutte le culture che sono apparse nella lunga storia dell’umanità, il rosso ha un posizione privilegiata rispetto a tutti gli altri colori. Innanzitutto è quello probabilmente più ricco di significati: simboleggia la vita ma anche la morte, l’amore, la passione e la sensualità ma anche l’ira e la guerra, la ricchezza, il lusso e il potere ma anche il fallimento e la povertà. Questo ampio ventaglio di concetti deriva da millenni e millenni di stratificazioni socio-culturali. Dai primi dipinti rupestri fino alla lattina della Coca-Cola, dalle rivoluzioni politiche alle suole delle costosissime scarpe Louboutin.

«Per millenni, il rosso è stato in Occidente l’unico colore degno di questo nome, l’unico vero colore» suggerisce ancora Pastoureau nella sua monografia Rosso. «E in termini sia cronologici sia gerarchici ha superato tutti gli altri. Non che questi non esistessero, ma dovettero aspettare a lungo prima di essere considerati tali e prima di avere un ruolo paragonabile a quello del rosso nella cultura materiale, nei codici sociali e nei sistemi di pensiero. È con il rosso che l’uomo ha fatto i primi esperimenti sul colore, ha conosciuto i primi successi e ha costruito il suo universo cromatico. Ed è sempre nella gamma dei rossi che ha presto imparato a diversificare la sua tavolozza, a produrre una varietà di toni e sfumature».

Prima ancora della storia, dunque, prima della scrittura e dell’arte, i nostri antenati usavano già il rosso per tingersi il corpo e gli abiti, per creare monili e lasciare un segno sulle pietre, utilizzando pigmenti ricavati dalle terre e da rocce ricche di ferro come l’ematite. Era il primo colore che trovavano e quindi, come concetto, andava a racchiudere in realtà un’ampia gamma di tinte: dal rosa all’arancione.

Il rosso come colore del fuoco

Illustrazione che rappresenta il dio greco Efesto che lavora il ferro nella sua fucina nelle viscere della terra

L’uso di tali pigmenti, trovati in natura e poi trasformati attraverso l’uso delle prime tecnologie, si è unito indissolubilmente al valore simbolico dei due elementi “rossi per eccellenza”, sangue e fuoco. Entrambi ambivalenti — fonte di vita ma anche di morte — ed entrambi strettamente legati ai riti e alle credenze religiose. Sangue e fuoco si usavano e talvolta si usano ancora nei riti sacri, e nelle culture politeiste non manca mai un dio del fuoco: Efesto per i greci, Vulcano per i romani, Logi per i norreni, Agni per gli indù, Xiuhtecuhtli per gli aztechi, Kagutsuchi nella mitologia giapponese. E non dimentichiamoci di Prometeo, che rubò il fuoco agli dei per donarlo al genere umano: leggenda che è stata anche rappresentata dall’artista Daniele Castellano nell’opera che vinse, qualche anno fa, il Premio Renner per il Contemporaneo, in un’edizione interamente dedicata al rosso.

«A volte favorevole, fecondo, purificatore o rigeneratore, a volte al contrario subdolo, violento, distruttore, nemico degli uomini e di tutti gli esseri viventi, il fuoco ha instaurato molto presto – senza dubbio molte decine di millenni prima della nostra era – legami archetipici con il rosso, il colore più ambivalente» conclude Pastoureau. «Da allora, niente ha potuto rimettere in discussione tali legami: vengono da troppo lontano e sono troppo solidi. Che cosa possono fare la realtà materiale e l’osservazione positiva contro il simbolismo? Probabilmente, non molto».

Ricostruzione dell'interno di un'officina medievale di un fabbro, con in primo piano un martello a testa in giù sopra un'incudineUn bambino tiene in mano un fiammifero acceso